Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

martedì 8 marzo 2011

UNA LAICITÀ “NUOVA” PER RIPARTIRE

Nel definire il significato di “laicità” e nel fissarne compiti e ruolo, talora si frappongono alcuni equivoci, che alterano la serenità del dialogo e fuorviano dalle reali intenzioni della discussione. Quindi, è necessario innanzitutto precisare il senso autentico della parola “laicità”, che, pur essendo ricca di contenuto e di valore, non sempre è intesa e adoperata in maniera appropriata. Essere laico, infatti, non significa, come purtroppo spesso si pensa, essere un avversario della religione in generale e del cattolicesimo in particolare; la parola “laico”, di per sé, non vuol dire l’essere né “credente” né “indifferente” né “miscredente”. A essere ostile alla religione e a combatterne ogni forma di predicazione è il “laicismo”, cioè quell’atteggiamento estremista, che disprezza e odia la religione e le chiese per pregiudizio. La vera “laicità”, invece, anche quando non condivide dottrine e regole dei diversi campi religiosi (o anche modelli proposti dalla politica, dalla società, dall’economia, dalla morale, dalla scienza, dalla teologia, ecc)), tuttavia li valuta con serena imparzialità, li rispetta con lealtà e li apprezza con onestà, senza fare confusione tra le rispettive facoltà e, soprattutto, tenendo ben separate – con intelligenza e fermezza – le rispettive competenze delle Chiese e degli Stati.

La “laicità”, pertanto, non è un insieme di dottrine particolari, ma è soltanto un abito mentale, grazie al quale si distingue ciò che è dimostrabile con la ragione da ciò che si accetta per fede. La laicità, quindi, non s’identifica con alcun credo specifico e non sostiene alcuna filosofia o morale o politica o ideologia particolare; essa è soltanto la capacità di articolare le proprie convinzioni (siano esse religiose, filosofiche, sociali, culturali) secondo regole che sono proprie della logica razionale, la quale, per la sua stessa natura, non può accettare o subire condizionamenti esterni, perché perderebbe la sua validità. Infatti, la logica razionale è veramente tale, solo se opera nella sua assoluta autonomia, cioè solo se è libera e, quindi, “laica”: tanto in un San Tommaso d'Aquino quanto in un pensatore ateo, la logica s’affida sempre e solo a principi di razionalità, allo stesso modo in cui, nella matematica, la dimostrazione d’un teorema obbedisce solo alle leggi della matematica, indipendentemente dal fatto che essa sia fatta da un Santo o da un miscredente.

La laicità, così intesa, crea la cultura della tolleranza: quella tolleranza che si concretizza nella sapiente umiltà che fa dubitare delle proprie certezze. Il laico è veramente tale, quando è “libero” davvero, cioè quando non si crea propri idoli da adorare né accetta miti altrui da venerare. Egli crede con forza e coerenza in alcuni valori che fa suoi, ma nello stesso tempo non dimentica mai che esistono anche i valori degli altri, che sono pur’essi nobili e validi e, perciò, meritevoli di stima e di rispetto. Laicità significa, allora, avere il coraggio di fare le proprie scelte, assumendosi la responsabilità delle eventuali rinunce necessarie e degli eventuali errori e fallimenti, senza confondere in nessun caso il pensiero rigoroso con i convincimenti fanatici e senza mescolare il sentimento sincero con le reazioni emotive e passionali. Per queste sue caratteristiche la laicità crea e difende una moralità appropriata, con cui si evitano sia gli eccessi del moralismo fazioso sia le licenziosità del permissivismo. Solo il “laico”, dunque, è e vive da uomo libero, perché solo lui aderisce a un'idea, senza restarne succube; s’impegna politicamente, senza perdere la propria indipendenza critica; non resta schiavo delle sue stesse idee e non denigra quelle degli altri; non inganna se stesso, trovando mille giustificazioni ideologiche per le proprie mancanze.

Questa concezione di laicità è stata condivisa e raccomandata anche dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nel quale viene delineata una Chiesa aperta alle esigenze del mondo, attenta ai “segni dei tempi”, alla ricerca di un dialogo fecondo con il “Mondo” nelle sue varie dimensioni. Perciò, si rivendica per l’uomo una fede religiosa integrale, cioè che non può essere ridotta a un affare privato riguardante solo la sfera personale, poiché il credente, in quanto “laico”, non può né deve essere relegato nel recinto del suo tempio, così come chi professa idee diverse deve godere del diritto a realizzare nella vita sociale le sue idee. Il volere per forza chiudere il credente nella sua cappella o il pretendere di scacciare dal proprio recinto chi la pensa diversamente, fa parte d’un laicismo arrogante. Del resto, se si vuole una “Chiesa aperta al mondo” e disponibile a capirne e ad accoglierne – sia pur criticamente - le esigenze, si deve ammettere anche un “Mondo aperto alla chiesa”, disponibile, cioè, a comprendere e ad accettare – sia pur criticamente - le sue opinioni e le sue prese di posizione su temi pastorali, che abbiano eventuali implicazioni sociali e indirettamente anche politiche. Autorevoli pensatori religiosi hanno offerto frequenti esempi di questa chiarezza e continuano tuttora a testimoniare l’esigenza di rispettare la ragione e le sue frontiere. Essi, infatti, rivendicano il ruolo che il Vangelo può e deve avere nell’ispirare una visione del mondo e, quindi, nel contribuire a creare una società più giusta; ma, nello stesso tempo, sostengono che la predicazione del Cristo non può mai tradursi direttamente e immediatamente in articoli di legge, per cui esigono un senso profondo della distinzione tra Stato e Chiesa, tra ciò che spetta all'uno e ciò che spetta all'altra.

La laicità, però, s’oppone anche al cosiddetto pluralismo culturale, spesso falso e ostentato dalla società del nostro tempo, la quale esalta tutte le differenze, ma in realtà, sotto l’ingannevole apparenza d’accogliere tutto indistintamente, persegue soltanto il qualunquismo, in cui ogni proposta è considerata come “valore”: c’è posto per tutto e per tutti, perché in esso regna la più piatta indifferenza. Invece la laicità vera, quella che garantisce il pluralismo autentico, riconosce non tutto senza distinzione, ma ogni reale positività di chi operi con efficacia alla costruzione della vita dei popoli e degli stati, i quali non sono contenitori vuoti da riempire con tutto quello che si vuole, ma sono uno spazio, nel quale ciascuno può e deve portare il suo contributo all’edificazione del bene comune. Oggi c’è bisogno di questa laicità “nuova”, per ripartire verso traguardi di civiltà vera.