Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

lunedì 3 gennaio 2011

LA BIOETICA: DISCIPLINA CHE SI COSTRUISCE COL DIALOGO PER LA RICERCA DEI PRINCÌPI UMANISTICI

La bioetica è la parte dell’etica, che studia i fenomeni della vita organica e va alla ricerca di risposte efficaci ai problemi relativi alla procreazione, alla vita e all’estinzione dell’essere umano; alle problematiche, cioè, riguardanti la nascita e lo sviluppo del corpo, l’età matura e la vecchiaia, la salute e la malattia, la morte. L’etica (e, quindi, anche la bioetica) è una disciplina che si fonda sulla ragione umana, in quanto cerca di conoscere con severità razionale i fondamenti generali, sui quali sarà stabilito quali comportamenti dell’uomo sono buoni, giusti e moralmente leciti, e quali, invece, sono cattivi, ingiusti e moralmente scorretti. L'etica e la bioetica, pertanto, non possono costruirsi su basi solamente sentimentali o riconducibili soprattutto a slanci emotivi d’umana solidarietà e d’amorevole compassione, che rimangono certamente sentimenti inviolabili e degni di rispetto, ma inadeguati a trovare e a mostrare la strada che nelle scelte morali devono imboccare sia gli individui che le società. Solo una disciplina sistemata con rigore logico può gettare le basi e fissare i limiti, entro i quali nè potrà né dovrà spingersi la libera volontà degli uomini e la legittima autorità degli stati.

Nella bioetica bisogna distinguere la parte “descrittiva” e la parte “normativa”.Nella bioetica “descrittiva” s’osservano e si descrivono i comportamenti riscontrabili degli uomini, al fine di capire i motivi veri della loro condotta morale e di rendere comprensibili gli atteggiamenti realmente presenti e operanti in un ben preciso contesto sociale e culturale; nella bioetica “normativa”, invece, s’individuano alcuni principi generali, sui quali si dovrà regolare il comportamento umano e dai quali successivamente si dovranno ricavare norme precise per la soluzione concreta delle singole situazioni reali. Sono entrambe parti d’estrema importanza, anche se una certa priorità va riconosciuta alla bioetica “normativa”, in quanto essa tratta i principi generali che indicano i valori da rispettare e i fini da cercare di raggiungere. Anche perché, mentre nell’ambito delle norme pratiche possono verificarsi scontri duri e contrapposizioni inconciliabili, invece, nell’ambito dei principi (che, per quanto diversi, non sono mai contraddittori, ma solo differenti e, quindi, negoziabili) non solo è possibile, ma addirittura s’impone la necessità di confrontarsi e di discutere, per raggiungere alcuni “compromessi” concepibili nel rispetto d’una scala di valori essenziali concordati, condivisi, accettati e difesi.

Così definita la bioetica, emergono due conseguenze evidenti e necessarie: in primo luogo, che essa non potrà essere mai una disciplina fissata una volta per tutte e, quindi, immutabile e valida in ogni tempo e in ogni luogo; e, in secondo luogo, che essa non è una materia assolutamente autonoma e indipendente. Infatti, con l’avanzare delle conoscenze e con il progredire delle tecnologie mutano continuamente i costumi del vivere civile, emergono sempre nuovi criteri di valutazione del comune senso morale, nascono improvvisi nuovi campi d’interesse: e da tutto ciò si generano difficoltà nuove e spesso imprevedibili, che a loro volta pongono questioni globali, che coinvolgono sempre e comunque l’essere umano in tutta la sua integralità di corpo e anima, di materia e spirito. E’ assolutamente inevitabile, allora, che si sconfini dall’ambito esclusivo della bioetica e si entri nel campo di altre discipline, il cui il contributo diventa indispensabile e insostituibile.

In ogni caso la bioetica dovrà affrontare problematiche delicate e complesse, che innegabilmente toccano sempre l’intimità più sacra dell’essere umano, che si dibatte nello sforzo di scoprire davvero il significato ultimo della sua vita e di fare onestamente le scelte più giuste per realizzarlo. Per questo la bioetica ha bisogno del contributo forte, responsabile e generoso di uomini in possesso d’una formazione qualificata, d’un’esperienza consolidata e di abilità provata; essa richiede, cioè, una salda e sicura esperienza professionale e morale, che s’acquista solo mediante l’osservazione continua, attenta, umile e indulgente dei comportamenti umani, e che si consolida solo mediante il lavoro quotidiano compiuto con benevola partecipazione e con umano coinvolgimento nel capire, nel vivere e nel risolvere i difficili problemi riguardanti la vita, la salute, la malattia, la sofferenza e la morte. Il primo sostegno richiesto è quello del medico, il quale, però, non intenda la sua professione come una merce né amministri la malattia come un funzionario, ma che, sempre con il dovuto distacco professionale, sappia percepire e condividere paure e speranze, angosce e aspettative del proprio “paziente”, instaurando con lui un rapporto anche di premurosi sentimenti di sincera umanità. Indispensabile, poi, è l’apporto dello scienziato biologo, il quale, mantenendo continui contatti con tutti gli altri soggetti interessati, metterà a disposizione le conquiste delle sue ricerche e i progressi della tecnologia. Decisiva, inoltre, è la collaborazione del giurista esperto nell’organizzare un ordinato e aggiornato registro, in cui annotare e comparare il maggior numero possibile di casi concreti, in base ai quali sia possibile verificare l’attuabilità dei principi generali. Infine, alla bioetica non può né deve mancare il sostegno del filosofo e il supporto del teologo, i quali, risalendo dalle problematiche poste dalla scienza alle questioni etiche generali, individueranno alcuni principi morali capaci di guidare la condotta da seguire nelle singole situazioni concrete.

Da queste considerazioni consegue che nel campo della bioetica nessuno - per quanto ricco di esperienza, di studi e di conoscenze - può ritenersi autosufficiente, cioè del tutto completo ed esaustivo. La bioetica avanza e si consolida solo mediante il dialogo aperto e leale tra medico, scienziato, giurista, filosofo, teologo e chiunque altro ritenga di avere qualche esperienza da comunicare e qualche valore da rivendicare. Lo spirito davvero autentico e validamente costruttivo della bioetica, quindi, sta nel dialogo: cioè, nella disponibilità di tutti a recepire con umiltà le varie opinioni, a vagliare con lealtà le idee differenti o addirittura contrastanti, a ponderare pacatamente le diverse argomentazioni, a prestare attenzione alle sensibilità anche più lontane. Questo atteggiamento, peraltro, non significherà mai un rinunciare al coraggio di dichiarare, difendere e applicare con fermezza i principi generali, cui si sia pervenuti con mente aperta e sincera e che siano stati condivisi con ragionevole chiarezza.

Non esiste, pertanto, una bioetica vera e tutte le altre false; nell’etica e nella bioetica non c’è posto per il vero e per il falso, in quanto in esse sta raccolto e conservato l’intero insieme delle risposte, che nel corso d’innumerevoli anni sono state date alle molte, diverse, nuove, imprevedibili domande, che situazioni problematiche spesso immediate hanno posto davanti alla ragione e alla volontà dei singoli e delle società. Del resto è sufficiente considerare come nel tempo si sono evoluti gli stessi principi generali etici e come, conseguentemente, sono cambiate molte posizioni morali, per rendersi conto che tutta la bioetica non è un qualcosa di astratto e che viene dal vuoto, ma è il risultato testimoniato delle scelte, che uomini e società hanno fatto in ben definiti contesti culturali prevalenti e in situazioni socio-economiche dominanti. Non c’è, quindi, alcun motivo valido, per cui si possa ritenere che la risposta di uno debba valere necessariamente anche per tutti gli altri; ma ognuno presenterà il suo problema, ipotizzerà la sua opinione, argomenterà il suo convincimento e lo offrirà agli altri, affinchè lo vaglino, lo giudichino ed eventualmente decidano se e fino a che punto possano condividerlo ed accoglierlo. In bioetica, dunque, ognuno deve poter seguire la propria strada, ovviamente sempre entro i confini stabiliti secondo i principi generali discussi e condivisi.

In questa prospettiva s’introduce anche nel campo della bioetica quel principio basilare – anch’esso per sua stessa natura fortemente “etico”, in quanto sostenuto da una valida scelta “etica” - della tolleranza. Pensare e agire secondo lo spirito “etico”, proprio della tolleranza, significa consentire a ogni cittadino di avere una propria opinione ragionevole, di fare una sua scelta responsabile, di esprimere senza timori il suo pensiero e di realizzare i convincimenti che gli suggeriscono la sua conoscenza e la sua coscienza; nella cultura della tolleranza, cioè, nessuno può imporre a un altro il proprio pensiero né può impedire ad altri di vivere secondo la propria visione di vita. Ovviamente anche la tolleranza è circoscritta da limiti ben definiti e assolutamente invalicabili, sintetizzabili tutti nel valore inviolabile del rispetto della dignità di ogni “altro”, dall’istante del suo concepimento al momento della sua morte. A garantire l’ossequio assiduo e il più rispettoso possibile di questo valore sono indirizzati il diritto e la morale. Il primo come struttura, che le società si danno per offrire norme precise per la convivenza e la collaborazione produttiva; la seconda come appello esclusivo dell’animo umano, che detta a ogni individuo i comportamenti da tenere nei diversi casi della vita. Comportamenti spesso difficili a comprendersi e a condividere, talora anche “fuori da ogni ragione”, ma tuttavia sempre profondamente “umani” e degni di rispetto.

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