Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

martedì 20 settembre 2005

QUALCHE OPINIONE SU ALEXIS DE TOCQUEVILLE.

"Non è affatto un ammiratore soddisfatto della società americana: nel suo intimo conserva una gerarchia di valori che assume dalla sua classe, l'aristocrazia francese” (Raymond Aron).

Diviso fra ammirazione e inquietudine per la democrazia e devozione e sollecitudine per la libertà, il dissidio egli lo portava dentro di sé” (Norberto Bobbio).

La Democrazia in America, il miglior libro mai scritto sugli Stati Uniti, si basava su un viaggio durato non più di nove mesi” (Eic Hobsbawn).

I moderni teorici della democrazia politica non sono interessati alla fondamentale condizione sociale di uguaglianza che Tocqueville aveva in mente” (Ralf Dahrendorf).

Noi, gli eremiti di massa

Così, Umberto Galimberti ha sintetizzato emblematicamente uno dei “miti d’oggi” nelle colonne di Repubblica (18 agosto 2005, pag. 35). Secondo lo studioso, oggi “si vive separati l’uno dall’altro, come i monaci di un tempo”, in quanto gli attuali mezzi di comunicazione rendono tutti gli uomini spettatori e non artefici e protagonisti degli accadimenti. La conclusione è consequenziale: “Le mille voci che riempiono l’etere eliminano le differenze tra gli uomini. E li rendono sempre più soli”.
Le riflessioni del Galimberti scorrono fluide e incontrastate:
  1. gli interlocutori di un dialogo non comunicano, oggi, esperienze personali soggettive e diverse. Ognuno ascolta, e a sua volta narra, ciò che già sa (dai e grazie ai molti mezzi di comunicazione: dal telefono a internet, dalla televisione alla stampa, dalla radio alla pubblicità);
  2. questo non significa prendere posizione sulla bontà o meno dei mezzi di comunicazione nè discutere sui buoni e cattivi maestri; ma significa solo “sentirsi costretti” a prendere atto che “la natura umana” è cambiata (e qui non si parla se in meglio o in peggio!);
  3. “Lo scambio – scrive l’Autore – ha un andamento solipsistico, dove un numero infinito di eremiti di massa comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo, separati uno dall’altro, chiusi nel loro guscio come i monaci di un tempo, sui picchi delle alture, non per rinunciare al mondo, ma per non perdere neppure un frammento del mondo in immagine”;
  4. Ecco la situazione capovolta tra interiorità ed esteriorità: prima si meditava in solitudine, si viveva nell’intimità protetta del proprio ambito familiare e, successivamente si andava in piazza per realizzare la vita sociale trattata come progettato nel proprio pensiero; oggi,al contrario, ci si rifugia nell’intimità della propria camera, dove si apprende e si vive la vita cosmica di tutto e di tutti, su tutto e su tutti;
La conclusione più immediata è che i mezzi di comunicazione attuali, indipendentemente dall’uso che se ne faccia, hanno determinato dei mutamenti essenziali nella stessa natura dell’uomo. Si tratta di una vera mutazione “oggettiva” e non solo “funzionale”:
Se il mondo viene a noi – sostiene il Galimberti – noi ‘non siamo nel mondo’,… ma (siamo) semplici consumatori del mondo. Se poi viene a noi solo in forma di immagine, ciò che consumiamo è solo il fantasma. Se questo fantasma lo possiamo evocare in qualsiasi momento, siamo onnipotenti come Dio. Ma poi questa onnipotenza si riduce, perché, se possiamo vedere il mondo senza potergli parlare, siamo dei voyeurs condannati all’afasia
I mezzi di comunicazione, allora, non sono soltanto dei “mezzi”, dal momento che incidono e determinano in maniera consistente la stessa natura dell’uomo. L’uomo deve recuperare la capacità di fare esperienza. L’uomo non è onnipotente; come non sono onnipotenti i mezzi di cui dispone. Milioni di uomini solitari dovranno comunicare esperienze nuove e umane: al di là dei mezzi di cui dispongono.

lunedì 12 settembre 2005

COSA CI FANNO GLI ESSERI VIVENTI SULLA TERRA? LA RISPOSTA CE LA RIVELA DIO O CE LA FORNISCE DARWIN?

E’ stato pubblicato il volume di Orlando Franceschelli dal titolo Dio e Darwin. Natura e uomo tra evoluzione e creazione (Donzelli Editore). L’autore, prendendo le distanze dagli estremismi sia dei naturalisti che dei creazionisti, ritiene plausibile l’ipotesi evoluzionista accanto a quella di un Dio che interagisce con le leggi dell’evoluzione. Vuole, quindi, lasciare aperta la porta per un dialogo tra scienza e religione, e tentare di eliminare il pericolo di una scienza presuntuosa e smaniosa di onnipotenza, da una parte, e di una religione intollerante che trasforma le credenze religiose in strumento di potere.

E’ inutile, però, illudersi! I termini del dialogo tra scienza e religione sono uniti tra loro da ponti molto sottili. Veramente molto sottili, soprattutto quando non vertono su problemi “forti” (quali la finalità del mondo, il fine della vita, i concetti di vita e di morte, l’essenza e l’esistenza dell’uomo), ma debbono misurarsi su terreni poco esplorati, anche se fertilissimi, delle scienze fisiche e biologiche in generale (quali il creazionismo e l’evoluzionismo) e neurologiche in particolare (il rapporto, ad esempio, tra cervello e mente). Questo “sottile” dialogo dà vita, a volte a collaborazione e a nuovi filoni di confronto, a volte (più frequenti) a polemiche inconcludenti, quando non oziose.

Non c’è da meravigliarsi. Il dialogo fra scienza e religione è bello e interessante, ma si realizza tra persone che hanno un approccio alla conoscenza molto diverso. E’ un dialogo veramente interessante! Basta non fare finta di avere molti terreni in comune. Oggi è un’abitudine, per motivi intellettuali, intendersela sempre e comunque con esponenti religiosi, che possiedono e propongono le loro idee, che sono sicuramente nobilissime.
Il problema è che, per le religioni, la divergenza con il metodo scientifico sta nell’approccio. La divergenza, quindi, sta a monte. Tutte le scienze postulano e accettano solo la precisione delle misure e il rigore del linguaggio; tutte le religioni, invece, fanno dell’ambiguità del linguaggio il loro punto di forza e la loro stessa ragion d’essere.

Giovanni Andreae, nella sua Christianopolis del 1619 (quindi, nell'importantissima opera che si colloca fra quelle del filone "utopia" (e che sta fra le contemporanee: La Città del Sole di Campanella, la Nuova Atlantide di Bacone e la Nova Solyma di Samuel Gott ) scrive:
"Una certa Confraternita (a parer mio, si tratta di uno scherzo, ma secondo i teologi è una questione seria ... ) promise ... le cose piú grandi ed insolite; proprio quelle cose che gli uomini generalmente desiderano; diede anche la straordinaria speranza di emendare la corruzione dell'attuale stato di cose e ... l'imitazione degli atti di Cristo"
Quale confusione tra gli uomini abbia fatto seguito a questa notizia, quale conflitto fra i dotti, quale agitazione, quale scalpore e scompiglio di impostori e truffatori, è inutile ricordare o riportare.